a cura della VD del Liceo Da Vinci di Casalecchio di Reno
Le luci, la musica, il buio. Il senso d’angoscia, la paura, il soffocamento. Basta poco per essere violentemente catapultati nel mondo di Alex, lo spaventoso e affascinante personaggio nato dalla penna di Antony Burgess. Sotto l’effetto del “latte coi coltelli” e dell’inebriante melodia della nona di Ludovico Van, Alex e i suoi “drughi” si dilettano nella danza dell’ultraviolenza e del dolce “suegiù”. Così i tre quindicenni trascorrono le loro nottate, fino a quando Alex, tradito dai suoi stessi compagni, viene condannato a quattordici anni di carcere per omicidio. Dopo due anni, accetterà di sottoporsi all’avveniristica Cura Ludovico, tecnica sperimentale che si propone di rieducare i delinquenti e di reinserirli all’interno della società.
Grazie alla sapiente regia di Gabriele Russo, si alternano con un ritmo altamente coinvolgente luci accecanti, intermittenti, psichedeliche, il nero dei colpi inferti e del dolore, il bianco di un momentaneo e illusorio sollievo. Gli stupri e le violenze sono rappresentati al rallenty, come per prolungare il tempo della sofferenza delle vittime e, con loro, degli spettatori. Ed è la musica, assordante, solenne – riadattata da Marco Castoldi, in arte Morgan, al gusto elettronico del nuovo millennio – ad accompagnare lo spaesamento dello spettatore, combattuto, nei confronti di Alex, tra i sentimenti di ribrezzo e di pietà. Alla figura del prete del carcere è affidato l’incarico di esplicitare la domanda essenziale: meglio il bene imposto o il male scelto? Questo è il cardine attorno a cui ruota il senso dello spettacolo. Nella prima parte il pubblico prova una sensazione di repulsione verso Alex, che ha fatto della distruzione il suo inno alla gioia; nella seconda, invece, sente nascere un sentimento di pena e compassione. Il giovane, a causa del trattamento a cui viene sottoposto, è costretto a provare un violento malessere fisico non solo nel momento in cui vuole fare del male, ma anche quando tenta di difendersi dal male degli altri. Antiteticamente, il dottor Brosky, ideatore della Cura Ludovico, è portatore di un ideale secondo cui per il bene comune la scienza deve raggiungere il totale controllo delle menti dei delinquenti. Perciò Beethoven da amico intimo è stato reso il peggior nemico di Alex e la musica celestiale che accompagnava il piacere della violenza diventa sottofondo del suo tentato suicidio. Alex: da carnefice a vittima di una società che non lo voleva prima e non lo vuole neanche adesso, di un progetto sociale e politico che fa di lui un oggetto, così come oggetti erano le sue stesse vittime. La società distopica che viene rappresentata è enfatizzata dal linguaggio inventato da Burgess, il Nadsat, ibrido tra russo e inglese, che la traduzione curata da Gabriele Russo con Tommaso Spinelli ha reso con grande efficacia. La scenografia è essenziale, ma capace di veicolare un forte messaggio in chiave onirica e surreale, e quel colore bianco simbolo di purezza, innocenza e ingenuità è un omaggio al capolavoro cinematografico di Stanley Kubrick. E il finale… da “cinebrivido”!
La rubrica: Noi tra palco e realtà
Nella trasposizione teatrale e cinematografica dell’opera di Burgess sono facilmente riscontrabili aspetti politici e sociali che ancora caratterizzano la società contemporanea e che mettono in evidenza problematiche molto attuali, soprattutto in Italia: l’emergenza delle carceri sovraffollate e il sistema di rieducazione e reinserimento sociale spesso fallace. Il carcere di Alex, come quello della realtà, invece di strappare alla delinquenza costringe i detenuti a vivere circondati dalle stesse persone da cui si dovrebbero allontanare, precludendo ai criminali la possibilità di un nuovo inserimento sociale. Il fallimento dei sistemi rieducativi costringe chi ha commesso reati a ritornare nel mondo criminale, l’unica realtà in cui verranno accolti di nuovo e in cui saranno in grado di sopravvivere. L’opera suggerisce anche un’altra importante riflessione. Se l’intenzione di rieducare Alex è senz’altro condivisibile, è inaccettabile la reale motivazione per cui il governo persegue questo obbiettivo: il raggiungimento del consenso politico. La violenza dei delinquenti non può trovare come risposta un’altra violenza, pena la trasformazione dell’individuo in un fantoccio, come suggerisce, emblematicamente, l’ultima scena.
Luca Altariva Luca Bosso Micaela Siria Cristofori Giorgio Frisenna Elena Necibi
Greta Mazzetti Luca Vanelli ErikaVitali
Classe 5D Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” Casalecchio di Reno
prof.ssa Patrizia Tattini
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