di e con Marco Baliani
regia Maria Maglietta
musiche Mirto Baliani
costumi Stefania Cempini
disegni Marco Baliani
produzione Marche Teatro
In poco più di un’ora Marco Baliani, con l’ausilio di eloquenti effetti sonori e veemusiche di Mirto Baliani, una simbolica animazione grafica con le scene e luci di Lucio Diana, la regia precisa e attenta di Maria Maglietta, riesce a creare quello che lui stesso definisce «teatro di post-narrazione» in cui il linguaggio orale perde il suo andamento diacronico e lineare e «si frantuma, produce loop verbali in cui il tempo oscilla». Tutto questo è Una notte sbagliata, prodotto da Marche Teatro.
Marco Baliani, pantaloni e camicia blu, seduto a un lato del palco, racconta un episodio capitatogli quando era ragazzo, uno studente di liceo che aveva scelto di non nascondere la propria idea politica e di denunciare le ingiustizie. Una posizione che gli costò uno scontro con un gruppo di coetanei che avevano deciso di stare dalla parte opposta e che non esitarono a pestarlo, mentre i suoi compagni fuggivano, lasciandolo solo. È quel sentimento di solitudine, profonda e immedicabile, che l’attore dice di avvertire ancora oggi.
Baliani è Tano, ex paziente psichiatrico, uomo tranquillo che vive con la madre e il cagnolino Uni, che ama portare a spasso fra le strade e il giardinetto della desolata periferia in cui abita.
Su quello sfondo vengono a tratti proiettati disegni semplici, da bambino, riflessi concreti della prospettiva sulla realtà di Tano, che si muove circospetto e un po’ inclinato su se stesso, una cuffia di lana calcata in testa e un pile, tutto scuro. L’uomo descrive le medicine che è costretto a prendere e che gli rallentano un po’ il pensiero e la reattività; racconta le visite al centro psichiatrico e quelle della nipotina, parla del suo cane Uni, che gli è sempre accanto.
E proprio quando una sera Tano deve uscire di casa per portare fuori il suo Uni, si compierà il suo sfortunato destino. C’è in giro una volante della polizia, impegnata a dare la caccia agli spacciatori che popolano il giardinetto. I poliziotti scorgono su una panchina un ragazzo di colore ma Uni abbaia forte e il giovane riesce a scappare. Gli uomini della volante, però, hanno già chiamato rinforzi, è necessario trovare qualcun altro per portare a casa un successo. Tano diviene così la vittima predestinata da sacrificare per giustificare la propria divisa, per convincere i propri figli e soprattutto se stessi della legittimità e della necessità del proprio ruolo nella società.
L’attore non condanna né giustifica esplicitamente: ciò che gli interessa non è tanto realizzare uno spettacolo di denuncia sociale, quanto indagare e avvicinarsi il più possibile a capire cosa passa nelle menti dei personaggi coinvolti: la frustrazione dei poliziotti e lo smarrimento di Tano, la necessità di un capro espiatorio e l’inconsapevolezza di essere un uomo “sacrificabile”.
Marco Baliani complica e approfondisce ulteriormente il suo teatro fondato sulla narrazione: alterna punti di vista, esce e rientra nei differenti personaggi facendosi anche coro e narratore esterno in quella che lui stesso definisce gimkana attorale, obbligandosi a continui cambi percettivi e linguistici, dentro una rete di rimandi sonori e visivi.