“Una donna poggiata contro un muro. Un uomo disegna un letto sul muro. La donna, in piedi e allo stesso tempo coricata nel suo letto, parla con Dio. L’uomo la regge, la accudisce, dialoga con lei, ci racconta di lei. L’unica traccia di quest’uomo sono le sue iniziali incise sotto le parole scritte sulla lapide di Simone Weil al cimitero di Ashford, nel Kent: C.M.
L’abbiamo chiamato Carlo Manfredi, gli abbiamo dato il ruolo di infermiere e il compito di accudire Simone Weil nella sua agonia. Il muro non è più un letto. Su quel muro Simone e il suo infermiere disegnano e cancellano le sagome dei fucilati nelle purghe staliniste che Simone fu tra le prime a denunciare. Il muro diventa il luogo dove si mostra l’esercizio della forza, che Simone descrisse nel saggio sull’Iliade.
In quel letto non più disegnato, ma fatto d’aria, si troveranno a galleggiare, sostenuti dalla forza della loro amicizia, Simone e il poeta Joe Busquet, ferito alla schiena nella guerra e invalido per sempre. E in un’altro letto, verticale ora, come la sua vigile attenzione, Simone sprofonda l’ultimo giorno della sua vita mentre descrive ai suoi cari il destino dei folli di Shakespeare, condannati come lei a dire la verità e non essere capiti da nessuno.
Il corpo di Simone, morta di stenti a 34 anni, sollevato da questo testimone che abbiamo inventato, danza nell’aria accompagnato dagli echi delle sue parole. Restano nel buio le sagome di un angelo inerme, il corpo di un uomo inginocchiato e il suono di una nenia antica e straziante.
Il pensiero di Simone Weil, quasi sconosciuto alla sua morte, oggi ci interroga con una forza sconvolgente. Si occupò dei pensieri e delle azioni degli esseri umani. Fu operaia, sindacalista, insegnante, scrittrice, storica, poetessa, drammaturga, combattente, filosofa, contadina.
Morì di stenti, in esilio. Si occupava degli esseri umani, ma dimenticava se stessa”
César Brie
Leave A Reply